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Dalla polvere all'illuminazione

Se pratichi yoga sai quanto siano importanti i piedi e quanto sia fondamentale percepirli e attivarli durante la pratica.


Così come le radici rappresentano per un albero uno strumento attraverso il quale ricevere sostanze nutritive con cui mantenersi saldo alla terra e da cui raccogliere la forza necessaria a ergersi verso il cielo, il loro prezioso ruolo è bene o male per noi lo stesso, ovvero assorbire energia, nutrimento sottile che correttamente incanalato andrà ad agire sul corpo fisico e pranico.


In sanscrito piede si dice pada e tante sono le posizioni che riportano nella nomenclatura sanscrita questa parola, proprio a sottolineare quanto sia presente questa parte del corpo nella pratica (padahastasana, utthita hasta padangusthasana, padottanasana e così via).


Parlando di energia, pada bandha è un sigillo, una chiusura che creiamo con i piedi e che permette di controllare il flusso pranico nel corpo. Attraverso di essa percepiamo compattezza e solidità, forza e stabilità.


Proprio perché a contatto con la terra, i nostri piedi sono però anche una delle parti più sporche del corpo. La maggior parte di noi non ci farà caso in quanto sempre costretti nelle scarpe, ben coperti e protetti, ma se ci spostiamo in India, dove è comune camminare a piedi nudi, avremo la possibilità di assistere ad alcuni riti che riguardano le nostre estremità.


Innanzitutto non si entra mai in una casa o in un tempio con ciabatte o scarpe che si lasciano invece rispettosamente all'ingresso per evitare che sporco e polvere, e insieme a essi energie negative, entrino in un luogo sacro o considerato tale, tant'è che è usanza anche quella di fare un bagno e indossare vestiti puliti prima di entrare in un luogo consacrato (rimuovendo anche oggetti di pelle considerata a sua volta impura).

Inoltre, come indicato sopra, i piedi sono conduttori di energia e mantenere qualcosa tra noi e la terra ci impedisce di entrare in contatto con la stessa e di non sfruttare un importantissimo canale di cui disponiamo. Oltre a esercitare un effetto equilibrante sul primo chakra, assorbiamo infatti le energie del suolo che calpestiamo e le tratteniamo all'interno.

A questo punto non è difficile comprendere perché si acceda anche alla sala yoga e si pratichi a piedi nudi. L'energia positiva che si cerca di risvegliare in quel luogo e le vibrazioni che si vanno a generare entrano nel praticante attraverso le estremità e gli permettono di stabilire una connessione con l'ambiente circostante nonché di venirne nutrito; se non hai mai avuto l'occasione di calpestare, scalzo, il pavimento di un tempio, ti è mai capitato di entrare in una yoga shala e percepire un immediato senso di calma?


La conduzione di energie è una delle ragioni per cui si vedono persone inchinarsi e toccare i piedi di una divinità, una persona più anziana o un maestro, gesto che, oltre a rappresentare una forma di reverenza, ha altri significati.

Innanzitutto prostrarsi, per quanto nella nostra cultura possa apparire come un gesto di assoggettamento e quindi da evitare (e non nego che anch'io inizialmente ero un po' disturbata da questa usanza), è interpretato come un atto di umiltà con cui lasciamo cadere momentaneamente il nostro ego.

Inoltre, come scritto sopra, il nostro corpo è un magazzino di energia; toccando i piedi creiamo un canale e assorbiamo da esso le qualità della divinità o della persona che abbiamo davanti: conoscenza, saggezza, compassione, amore, forza e tutto ciò che può arricchire il nostro percorso spirituale, oltre a stabilire una connessione cuore-cuore e mente-mente che va oltre il razionale.


vande gurūṇāṃ caranāravinde

Mi inchino ai piedi di loto del Maestro.


Qualora a fine pratica ti fossi chiesto più volte perché in savasana alcuni insegnanti abbiano indicato di ruotare il capo verso di sé portanto i piedi in direzione opposta, penso che quanto scritto finora possa avere esaurito la risposta: proprio perché i piedi sono la parte più "impura" del sadhaka (del praticante) ed è quindi considerato rude e poco rispettoso mostrarli al maestro verso il quale si volge invece la testa, la sede dell'illuminazione.











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